
L’errore più grande è vedere i sottoprodotti agricoli come rifiuti da smaltire, anziché come un asset strategico da valorizzare.
- I modelli di business più redditizi non si concentrano sullo scarto in sé, ma sul mercato finale a cui venderlo (es. cosmetica, packaging, energia).
- La chiave del successo è il “design di filiera”: creare nuove catene del valore, spesso in simbiosi con altre aziende del territorio.
Raccomandazione: La valorizzazione inizia con una mappatura strategica dei tuoi “scarti” e dei potenziali mercati, prima ancora di investire nella tecnologia.
Per un imprenditore agricolo, la gestione dei sottoprodotti è spesso vissuta come un costo, un problema logistico, un obbligo normativo. Vinacce, sanse, letame, sfalci: voci di spesa a bilancio che erodono i margini di un settore già sotto pressione. Le soluzioni tradizionali esistono, certo: si parla di compostaggio, di conferimento a impianti di biogas, di pratiche agronomiche consolidate. Ma queste soluzioni si limitano a “gestire il problema”, raramente lo trasformano in un’opportunità strategica.
E se il vero potenziale non fosse nello smaltimento, ma nel design di nuovi flussi di reddito? Se la vinaccia, anziché diventare compost, si trasformasse in un prezioso ingrediente per la cosmetica di lusso? Se il calore residuo del vostro digestore, invece di disperdersi, alimentasse la serra del vicino creando un doppio guadagno? Questo cambio di prospettiva è il cuore dell’upcycling agricolo: non più “smaltire un rifiuto”, ma progettare attivamente la trasformazione di una Materia Prima Seconda (MPS) in un prodotto vendibile.
Questo approccio richiede una mentalità da designer sistemico, capace di vedere connessioni dove altri vedono solo scarti. Non si tratta solo di implementare una nuova tecnologia, ma di ripensare la propria azienda come un ecosistema in cui ogni output può diventare un input per un nuovo processo, interno o esterno. Significa guardare oltre i confini del proprio campo e immaginare nuove filiere, nuovi mercati e nuove partnership.
In questo articolo esploreremo modelli di business concreti e strategie imprenditoriali per trasformare i sottoprodotti agricoli da costo a centro di profitto. Analizzeremo opzioni innovative, confronteremo la convenienza delle diverse strade e forniremo strumenti pratici per progettare la vostra strategia di economia circolare, trasformando un problema operativo in un vantaggio competitivo duraturo.
Per guidarvi in questo percorso, abbiamo strutturato l’articolo in diverse sezioni chiave, ognuna dedicata a un modello di business o a una scelta strategica. Ecco cosa scoprirete.
Sommario: Trasformare gli scarti agricoli in opportunità di business
- Come trasformare i scarti agricoli in una nuova fonte di reddito stabile?
- Vendere gli scarti al biometano o riutilizzarli in campo : cosa conviene oggi ?
- Perché cedere il calore residuo del vostro biogas alla serra del vicino conviene a entrambi ?
- Come estrarre polifenoli dalle vinacce esauste per venderli alla cosmetica ?
- Pellicole da scarti di latte o mais : quale packaging sostituirà la plastica nel vostro ortofrutta ?
- Allevare mosche soldato su scarti organici : opportunità normativa o rischio sanitario ?
- Come selezionare fornitori allineati ai vostri standard etici e ambientali ?
- L’errore di progettare un prodotto che non può essere separato e riciclato a fine vita
Come trasformare i scarti agricoli in una nuova fonte di reddito stabile?
La trasformazione degli scarti in reddito non è un’operazione magica, ma un processo strategico che parte da un radicale cambio di mentalità: ogni sottoprodotto non è un rifiuto, ma un asset dormiente. Il primo passo è smettere di pensare in termini di “costo di smaltimento” e iniziare a ragionare in termini di “potenziale di mercato”. Per farlo, è necessario mappare sistematicamente tutti gli output della propria azienda: non solo i prodotti principali, ma anche le biomasse residue, i reflui, l’energia termica dissipata. Ciascuno di questi flussi è un potenziale punto di partenza per una nuova linea di business.
Questo approccio, noto come “cascata di valore”, suggerisce di estrarre il massimo valore possibile da una risorsa prima di passare al livello successivo. Ad esempio, da uno scarto vegetale si possono prima estrarre molecole ad alto valore aggiunto (per la cosmetica o la nutraceutica), poi utilizzare la fibra rimanente per produrre biomateriali, e solo alla fine destinare il residuo finale alla produzione di energia (biogas) o al miglioramento del suolo (compost/digestato). Ogni passaggio genera un flusso di cassa addizionale, massimizzando la redditività complessiva dell’ecosistema aziendale.
Il governo italiano sta spingendo in questa direzione, supportando la transizione con strumenti concreti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta un’opportunità storica in questo senso. Ad esempio, sono stati stanziati dal PNRR per efficienza biogas e biometano ben 193 milioni di euro per migliorare l’efficienza degli impianti esistenti e promuovere l’uso di trattori a biometano. Questi fondi non sono solo un aiuto finanziario, ma un segnale chiaro della direzione strategica che il settore è chiamato a intraprendere: integrare la produzione agricola con la generazione di valore circolare.
Un esempio concreto è l’utilizzo di fertilizzanti organici derivati dai propri scarti. Questo modello chiude il cerchio all’interno dell’azienda stessa: i sottoprodotti (scarti vegetali, reflui zootecnici) vengono trasformati in input (fertilizzanti) per il ciclo produttivo successivo. Il risultato è un doppio vantaggio: una riduzione dei costi per l’acquisto di concimi chimici e un miglioramento della salute e della fertilità del suolo a lungo termine, un asset fondamentale per la resilienza dell’azienda.
Vendere gli scarti al biometano o riutilizzarli in campo : cosa conviene oggi ?
Una delle decisioni strategiche più comuni per un’azienda agricola con disponibilità di biomassa (reflui zootecnici, scarti colturali) è la scelta tra due percorsi principali: conferire questi materiali a un impianto di biogas/biometano o utilizzarli direttamente in campo come ammendanti organici. Non esiste una risposta universalmente corretta; la convenienza dipende dagli obiettivi a lungo termine dell’imprenditore, dalla struttura aziendale e dalla propensione all’investimento. La scelta non è solo tecnica, ma profondamente imprenditoriale.
Conferire a un impianto di biometano offre il vantaggio di un ricavo immediato e stabile, spesso garantito da contratti di fornitura a lungo termine e tariffe incentivate. Questa opzione trasforma un potenziale costo di gestione in un flusso di cassa prevedibile, con una complessità gestionale relativamente bassa se ci si affida a impianti di terzi. Il settore del biometano in Italia sta vivendo una fase di forte espansione, capace di generare 6 miliardi di euro di investimenti privati grazie agli stimoli del PNRR, e con obiettivi ambiziosi di produzione fissati a 5,5 miliardi di metri cubi al 2030.
D’altra parte, il riutilizzo in campo, pur non generando un’entrata economica diretta, si traduce in un significativo risparmio sui costi di acquisto di fertilizzanti sintetici e, soprattutto, in un investimento sul capitale più prezioso dell’azienda: il suolo. L’apporto di sostanza organica migliora la struttura, la ritenzione idrica e la biodiversità microbica del terreno, aumentando la resilienza delle colture a stress idrici e climatici. È una strategia di lungo periodo che rafforza le fondamenta produttive dell’azienda.
Per aiutare a visualizzare i pro e i contro di ciascuna opzione, abbiamo sintetizzato i fattori chiave in una tabella comparativa. L’analisi di questi elementi permette di allineare la decisione alla visione strategica della propria impresa.
| Fattore | Conferimento al Biogas | Riutilizzo in Campo |
|---|---|---|
| Ricavo immediato | Tariffa incentivata 15 anni | Risparmio fertilizzanti |
| Investimento iniziale | Contratto fornitura | Attrezzature distribuzione |
| Beneficio lungo termine | Reddito stabile | Miglioramento suolo |
| Complessità gestionale | Bassa (outsourcing) | Media (gestione diretta) |
| Sostenibilità certificabile | Certificati verdi | Biologico/biodinamico |
Perché cedere il calore residuo del vostro biogas alla serra del vicino conviene a entrambi ?
Uno dei principi più potenti dell’economia circolare è la simbiosi industriale: un modello in cui lo scarto di un’azienda diventa la risorsa per un’altra, creando valore e riducendo l’impatto ambientale per l’intero sistema. Un esempio perfetto e immediatamente applicabile in ambito agricolo è la valorizzazione del calore residuo prodotto da un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas. Durante il processo, infatti, circa il 40-50% dell’energia viene convertita in calore, che troppo spesso viene semplicemente dissipato nell’ambiente.
Questo calore, considerato un “rifiuto” del processo di cogenerazione, è in realtà una risorsa preziosa, soprattutto per attività energivore come le serre. Stringere un accordo con un’azienda florovivaistica o orticola vicina per cederle questo calore a un prezzo vantaggioso crea una situazione win-win. L’agricoltore proprietario dell’impianto di biogas apre una nuova linea di ricavo, monetizzando un output che altrimenti andrebbe perso. L’azienda che gestisce la serra, d’altra parte, ottiene energia termica a un costo inferiore rispetto ai combustibili fossili, riducendo le proprie spese operative e la propria impronta carbonica.
Questo sistema di teleriscaldamento di prossimità è un modello di business circolare a tutti gli effetti, che rafforza il tessuto economico locale e crea interdipendenze positive. Con la produzione di biometano in Italia che ha già raggiunto i 600 milioni di metri cubi nel 2023, il potenziale per replicare questi modelli di simbiosi su tutto il territorio nazionale è enorme.
L’infrastruttura per lo scambio termico, come tubature coibentate che collegano il digestore alla serra, rappresenta l’investimento iniziale. Questa tecnologia permette di trasferire l’energia in modo efficiente, trasformando un concetto astratto di economia circolare in un flusso fisico e misurabile di valore.

Come dimostra l’immagine, la connessione fisica tra le due attività è il cuore di questo modello di business. La partnership non è solo contrattuale, ma diventa parte integrante dell’infrastruttura produttiva di entrambe le aziende. Questo approccio non solo è economicamente vantaggioso, ma migliora anche la percezione e l’accettazione sociale degli impianti a biogas, che non sono più visti come unità isolate, ma come motori di sviluppo per l’intera comunità locale.
Come estrarre polifenoli dalle vinacce esauste per venderli alla cosmetica ?
Le vinacce, il residuo solido della pigiatura dell’uva, sono uno dei sottoprodotti più abbondanti dell’industria vitivinicola italiana. Tradizionalmente destinate alla distillazione per produrre grappa o, più spesso, utilizzate come ammendante o smaltite come rifiuto, nascondono in realtà un tesoro di molecole ad altissimo valore aggiunto: i polifenoli. Questi composti, tra cui il celebre resveratrolo, sono potenti antiossidanti ricercatissimi dall’industria cosmetica e nutraceutica per le loro proprietà anti-invecchiamento e protettive.
Estrarre questi composti dalle vinacce prima di destinarle a usi a più basso valore (come il compostaggio) è un esempio lampante del principio della “cascata di valore”. Si tratta di un modello di business sofisticato che trasforma un sottoprodotto agricolo in un ingrediente “hi-tech”. Il mercato è esigente e richiede standard qualitativi elevati, ma le marginalità sono incomparabilmente superiori a quelle di qualsiasi altro uso delle vinacce. Il processo richiede tecnologie di estrazione avanzate (come l’estrazione con fluidi supercritici o con ultrasuoni) e, soprattutto, la capacità di garantire la tracciabilità e la certificazione del prodotto finito.
Per un imprenditore che intende entrare in questo mercato, ottenere una certificazione riconosciuta è un passo cruciale per dialogare con i grandi brand della cosmetica. Le più importanti a livello europeo sono COSMOS e NATRUE. Sebbene entrambe promuovano cosmetici naturali e biologici, hanno focus e requisiti leggermente diversi, che è importante conoscere per scegliere il percorso più adatto alla propria strategia.
La tabella seguente mette a confronto i due standard principali, offrendo una visione chiara per orientare la scelta strategica di certificazione per i propri estratti. Questa decisione influenzerà l’approccio produttivo e il posizionamento sul mercato.
| Criterio | COSMOS | NATRUE |
|---|---|---|
| Percentuale minima bio | 95% delle sostanze naturali | 95% degli ingredienti vegetali/animali |
| Focus principale | Intero ciclo produttivo e sostenibilità | Composizione ingredienti |
| Livelli certificazione | Organic / Natural | Biologico / Naturale con bio |
| Enti in Italia | ICEA, Ecocert | Ecogruppo Italia, Bioagricert |
| Validità internazionale | Standard europeo unificato | Riconosciuto globalmente |
Il percorso per ottenere una certificazione come COSMOS è rigoroso e richiede un approccio meticoloso. Ecco i passaggi fondamentali da seguire:
- Verificare che almeno il 95% delle sostanze naturali del prodotto siano di origine biologica certificata.
- Eliminare tutti gli ingredienti vietati dal disciplinare (es. PEG, siliconi, oli minerali).
- Documentare la tracciabilità completa delle materie prime e i processi di estrazione utilizzati.
- Sottoporre il prodotto e la documentazione all’ente certificatore accreditato.
- Implementare un sistema di gestione della qualità per mantenere la certificazione nel tempo.
Pellicole da scarti di latte o mais : quale packaging sostituirà la plastica nel vostro ortofrutta ?
La crescente pressione normativa e la sensibilità dei consumatori verso la riduzione degli imballaggi in plastica rappresentano una sfida enorme, ma anche un’opportunità di innovazione per il settore ortofrutticolo. La ricerca di alternative sostenibili ha aperto la strada a una nuova generazione di bioplastiche, materiali derivati da fonti rinnovabili e spesso biodegradabili o compostabili. Per un’azienda agricola, questo non significa solo “comprare” un packaging più ecologico, ma potenzialmente “produrlo” a partire dai propri sottoprodotti.
Due delle filiere più promettenti nascono da scarti apparentemente molto diversi: il latte e il mais. Dal siero di latte, un sottoprodotto abbondante dell’industria casearia, è possibile estrarre la caseina, una proteina che, processata, può formare film edibili e biodegradabili. Queste pellicole hanno eccellenti proprietà di barriera all’ossigeno, prolungando la shelf-life di alcuni alimenti, anche se la loro resistenza all’umidità rimane una sfida tecnica.
Dall’altro lato, l’amido di mais, estraibile anche da scarti di lavorazione, è la base per la produzione di acido polilattico (PLA), una delle bioplastiche più diffuse al mondo. Il PLA è trasparente, rigido e ha un aspetto molto simile al PET tradizionale, rendendolo ideale per vaschette e contenitori per frutta e verdura. Tuttavia, la sua compostabilità richiede impianti industriali specifici, un dettaglio non trascurabile nella comunicazione al consumatore finale. L’Italia, grazie alla sua forte vocazione agricola, ha un enorme potenziale per diventare leader nella produzione di questi biomateriali innovativi.
La scelta tra una soluzione basata sulla caseina o sul PLA non è solo tecnologica, ma strategica. Un’azienda zootecnica potrebbe trovare più sinergico sviluppare una filiera basata sulle proteine del latte, chiudendo un cerchio interno. Un’azienda cerealicola, invece, potrebbe puntare sulla valorizzazione dell’amido. In entrambi i casi, l’obiettivo è lo stesso: trasformare un flusso di materia organica a basso valore in un prodotto ad alta richiesta di mercato, rispondendo a un’esigenza sentita da tutta la grande distribuzione e dai consumatori finali.
Allevare mosche soldato su scarti organici : opportunità normativa o rischio sanitario ?
Tra le frontiere più innovative e discusse dell’economia circolare agricola c’è l’allevamento di insetti, in particolare della Mosca Soldato Nera (Hermetia illucens). Le sue larve sono voracissime consumatrici di scarti organici (scarti di frutta e verdura, sfalci, sottoprodotti della trasformazione alimentare) e li convertono in due prodotti di grande interesse commerciale: proteine di alta qualità e un fertilizzante organico chiamato “frass”. Questo modello di business, noto come bioconversione, promette di trasformare il problema della gestione dei rifiuti organici in una doppia fonte di reddito.
Le larve essiccate e macinate diventano una farina proteica, autorizzata a livello UE come mangime per animali d’acquacoltura, pollame e suini. In un contesto di crescente dipendenza dall’import di soia e farine di pesce, questa rappresenta un’alternativa strategica, sostenibile e a filiera corta. Il frass, ovvero le deiezioni delle larve, è un ammendante organico ricco di nutrienti e chitina, una molecola che stimola le difese naturali delle piante. È un prodotto perfetto per l’agricoltura biologica e rigenerativa.
L’opportunità è chiara, ma l’imprenditore deve navigare un quadro normativo preciso e gestire attentamente i potenziali rischi sanitari. L’allevamento deve avvenire in un ambiente controllato per prevenire fughe e contaminazioni. I substrati utilizzati per l’alimentazione delle larve devono provenire da un elenco positivo di materiali autorizzati, escludendo ad esempio scarti di macellazione o rifiuti post-consumo non tracciati. La registrazione dell’impianto presso l’ASL e il Ministero della Salute è un passaggio obbligatorio per garantire la sicurezza della filiera.
L’immagine di un allevatore che controlla con cura le larve in un ambiente pulito e ordinato contrasta con la percezione comune degli insetti, mostrando un’attività agricola moderna, tecnologica e sostenibile.

Come si vede, la gestione di un impianto di questo tipo richiede competenza e attenzione ai dettagli. Non si tratta di un semplice compostaggio, ma di un vero e proprio allevamento zootecnico in miniatura, con protocolli sanitari e di controllo qualità da rispettare scrupolosamente. La sfida è trasformare un processo biologico naturale in un’operazione industriale affidabile e scalabile, bilanciando l’enorme potenziale economico con la responsabilità di produrre mangimi e fertilizzanti sicuri.
Come selezionare fornitori allineati ai vostri standard etici e ambientali ?
Un modello di business autenticamente circolare non può limitarsi a valorizzare i propri scarti; deve garantire che l’intera catena del valore, a monte e a valle, sia coerente con i principi di sostenibilità. La selezione dei fornitori diventa quindi un atto strategico, non un semplice esercizio di approvvigionamento al minor costo. Scegliere partner che condividono i vostri standard etici e ambientali non solo riduce i rischi reputazionali, ma rafforza anche il posizionamento del vostro marchio e la fedeltà dei consumatori finali, sempre più attenti all’origine e alla storia dei prodotti che acquistano.
Verificare l’allineamento di un fornitore richiede un processo di due diligence che va oltre la semplice dichiarazione d’intenti. È necessario richiedere e controllare certificazioni concrete, ispezionare i processi e inserire clausole specifiche nei contratti. In Italia, abbiamo la fortuna di avere un settore biologico molto sviluppato, con oltre 2 milioni di ettari coltivati con metodo biologico, offrendo un’ampia scelta di potenziali fornitori già certificati. Ma la sostenibilità non è solo “bio”. Riguarda anche la gestione delle risorse idriche, il trattamento dei rifiuti e, soprattutto, il rispetto dei diritti dei lavoratori, una piaga purtroppo ancora presente con fenomeni come il caporalato.
Un audit efficace dei fornitori deve essere un processo strutturato, basato su punti di controllo oggettivi e verificabili. Non si tratta di un atto di sfiducia, ma di un processo di qualificazione reciproca per costruire partnership solide e trasparenti. Per aiutarvi in questo compito, abbiamo preparato una checklist pratica con i passaggi fondamentali per valutare un potenziale fornitore agricolo in Italia.
Piano d’azione per l’audit di fornitori agricoli sostenibili
- Verificare le certificazioni (Biologico, SQNPI) sul database SIAN del Ministero dell’Agricoltura per confermarne la validità.
- Controllare l’iscrizione del fornitore alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità come garanzia contro il caporalato.
- Richiedere la documentazione relativa alla gestione degli scarti e delle acque reflue, verificandone la conformità normativa.
- Verificare l’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per tutti i dipendenti.
- Inserire clausole di sostenibilità e il diritto di audit periodico direttamente nel contratto di fornitura.
Integrare questi controlli nel vostro processo di approvvigionamento trasforma la catena di fornitura da potenziale vulnerabilità a punto di forza. Un fornitore qualificato non è solo un venditore, ma un partner strategico che contribuisce attivamente alla credibilità e al valore del vostro business circolare. La trasparenza in questa fase è un investimento che ripaga in termini di fiducia del mercato.
Da ricordare
- Il passaggio chiave è smettere di pensare allo “smaltimento” e iniziare a progettare la “valorizzazione” come un business.
- Le opportunità più redditizie (cosmetica, biomateriali) richiedono di guardare a mercati al di fuori del settore agricolo tradizionale.
- La simbiosi industriale, come la cessione di calore, crea valore condiviso e rafforza il tessuto economico locale.
L’errore di progettare un prodotto che non può essere separato e riciclato a fine vita
Tutti gli sforzi per creare un’economia agricola circolare rischiano di essere vanificati se non si affronta il problema alla radice: il design del prodotto. L’errore più grande, e purtroppo ancora molto comune, è immettere sul mercato un prodotto, specialmente un imballaggio, che per sua natura non può essere facilmente disassemblato, separato nei suoi componenti e avviato a un riciclo di alta qualità. Questo è il concetto di “Design for Disassembly”, un principio cardine che dovrebbe guidare ogni nuova creazione.
L’agricoltura circolare è un sistema agricolo innovativo in cui nulla muore ma tutto si riutilizza e si rigenera divenendo risorsa produttiva.
– Blog ASM SET, Come si fa economia circolare in agricoltura
Pensiamo a un vasetto di yogurt con un’etichetta di carta incollata saldamente su un contenitore di plastica, a sua volta sigillato da un opercolo di alluminio. Anche se ogni singolo materiale è teoricamente riciclabile, la loro unione indissolubile li condanna spesso all’inceneritore o alla discarica. Lo stesso vale per molti imballaggi alimentari poliaccoppiati, dove strati sottili di plastica, alluminio e carta sono fusi insieme per garantire la conservazione, ma rendono il riciclo tecnicamente complesso ed economicamente insostenibile.
Progettare per la circolarità significa fare scelte consapevoli fin dall’inizio:
- Preferire i monomateriali: Un imballaggio fatto al 100% di PET riciclato è molto più facile da gestire a fine vita di uno composito.
- Utilizzare colle e adesivi idrosolubili: Permettono una facile separazione delle etichette durante il processo di lavaggio negli impianti di riciclo.
- Evitare coloranti scuri e additivi coprenti: Specialmente nel PET, questi elementi possono contaminare il flusso di riciclo, impedendo la produzione di nuovo materiale trasparente.
- Comunicare chiaramente al consumatore: Indicare in modo semplice e univoco come separare i componenti dell’imballaggio, se necessario.
Per un imprenditore agricolo che si affaccia al mondo del packaging o dei prodotti trasformati, pensare al “fine vita” del proprio prodotto fin dal primo giorno non è un onere, ma un investimento strategico. Evita costi futuri legati a nuove normative (come la Plastic Tax), migliora l’immagine del brand e garantisce che il valore immesso nel prodotto non venga distrutto al termine del suo primo utilizzo.
Trasformare i sottoprodotti agricoli in una fonte di reddito stabile non è un’utopia, ma il risultato di una progettazione imprenditoriale attenta e creativa. Per mettere in pratica questi concetti, il passo successivo è realizzare un’analisi personalizzata dei flussi di scarto della vostra azienda e dei potenziali mercati di sbocco.
Domande frequenti sulla valorizzazione degli scarti agricoli
Quali sono i principali ostacoli normativi per l’allevamento di insetti in Italia?
I Regolamenti UE autorizzano l’uso di proteine di insetti nei mangimi ma richiedono la registrazione dell’impianto presso l’ASL e il Ministero della Salute. Inoltre, i substrati utilizzati per l’alimentazione delle larve devono provenire da un elenco positivo di materiali ammessi, garantendo la sicurezza della filiera.
È economicamente sostenibile un impianto di Black Soldier Fly?
La sostenibilità economica dipende fortemente dalla scala dell’operazione. Piccoli impianti, integrati direttamente nell’azienda agricola per gestire i propri scarti organici, possono avere un ritorno sull’investimento (ROI) più rapido. Gli impianti industriali, invece, richiedono investimenti iniziali molto più consistenti e un’attenta pianificazione della logistica e delle vendite dei prodotti finiti.
Quali certificazioni servono per il frass come ammendante?
Per poter essere commercializzato come fertilizzante, il frass (lo scarto prodotto dalle larve di mosca soldato) deve rispettare i parametri definiti per gli ammendanti organici dal Decreto Legislativo 75/2010. Ciò include il superamento di analisi microbiologiche e la verifica che il contenuto di metalli pesanti sia entro i limiti di legge.